In scena fino al 5 Novembre, la Medea di Luca Ronconi, ripresa da Luigi Salvo, lascia il pubblico del Teatro Quirino a bocca aperta.
La Medea di Ronconi è un uomo. Franco Branciaroli veste i panni della donna ferina celebrata da Euripide nella tragedia omonima. Branciaroli, sulla scena, rimane uomo, nella sua sottoveste di pizzo e seta; rimane uomo, nonostante i suoi occhi truccati di scuro; rimane uomo, sebbene la voce acuta nei momenti di maggiore enfasi. Branciaroli rimane uomo, perché è questo il lato che Ronconi, scomparso nel 2015, voleva evocare, portando in scena, per la prima volta nel 1996, la sua personale lettura del dramma di Medea.
Medea dallo sguardo di toro non accenna ad essere leonessa nelle sue atrocità bestiali. È uomo, campione di dissimulazione, in primis dinanzi alle donne di Corinto, che lavano, cantano, parlano, e allo stesso tempo ne compiangono le sorti, ne esaltano il coraggio, la fermezza, tentando invano di dissuaderla dalle sue perverse intenzioni. “Siamo donne”. “Siamo donne” urlava Ismene alla sorella Antigone, invasata dalla caparbietà di seppellire il fratello morto, nonostante le leggi avverse. “Siamo donne” urlano le corinzie, passando lo straccio in una scena dove tutto è precario, dove tutto è instabile, dove ogni cosa può cambiare da un momento all’altro.La disposizione di un mobile o il corso della vita di un uomo.
È destabilizzante la Medea di Ronconi che vive negli anni ’60, semplice cornice di un dramma che conserva la sua anima antica. Medea, l’eroina, donna per eccellenza, innamorata, sedotta, tradita, diventa qui mera vittima degli inganni di Afrodite. Medea fugge dalla Colchide, annebbiata dall’amore per Giasone, un amore indotto, che le fa compiere delitti orribili ed errori irreparabili. Medea tradisce il padre Eeta, fa a pezzi il fratello Absirto, procura, per mano delle sue stesse figlie, la morte di Pelia, sposa Giasone, mette al mondo due figli, approda a Corinto, viene ripudiata e, finalmente si vendica. E rinasce.
Medea invoca Ecate, divinità della magia, dei demoni, sua madre, Medea entra in scena tormentata dalle Erinni. Le Erinni di chi ha ucciso cercano vendetta, vogliono sangue di vivi versato a lavare quello di chi non c’è più.
Medea sacrifica le nuove generazioni in nome delle antiche, sacrifica il nuovo corso in nome delle realtà che, dopo aver massacrato, si è lasciata alle spalle, per via di un amore ingannevole. Ogni cambiamento è foriero di sofferenza e morte e sangue.
Lo spettacolo inizia con il lamento della nutrice di Medea, è seduta dinanzi ad uno schermo sul quale è proiettato un intervento chirurgico. Sangue. La scena si chiude, con una vasca da bagno irrorata del sangue dei figli di Medea. Sangue ancora una volta. Un ringkomposition dell’orrore e della rivalsa.
Medea esce, tuttavia, pulita dall’empietà appena commessa, abbandona il suo uomo, o almeno colui che fino a poco prima lo era stato, si lascia alle spalle Corinto sospesa sul carro del Sole, fiera, con in volto una maschera d’oro, addosso una veste candida e le braccia lordate di sangue.
I figli sono vittime sacrificali, nella tragedia di Ronconi. Non si è mai vista una donna uccidere un figlio per placare gli dei. Ne conosciamo una che ha ammazzato un padre per lo stesso delitto, ma che è stata, a sua volta, sacrificata per aver osato tanto. Clitennestra.
Medea è, quindi, uomo, ma non solo. È alterità, agli occhi dei greci del IV secolo, è lo straniero che invade la Patria, il magico che permea la normalità, è ambigua, come lo è Branciaroli, suo impeccabile interprete, che, da uomo, stigmatizza sarcasticamente, parlando loro, gli stereotipi delle donne, e di nuovo da uomo, a mo’ di generale implacabile, uccide i suoi figli, per vendicare l’oltraggio subito e attuato al contempo, anni addietro, per colpa del miserabile Eros.
Leave A Reply