In aereo per Roma da Barcellona, dove ho trascorso i tre giorni antecedenti il mio compleanno, oggi, il 23 gennaio.
Prima volta per bene, dove ho avuto modo di girare, conoscere e assaggiare questa città meravigliosa, che tutti lo dicevano, ma un conto ascoltare, un conto è vivere. Tre giorni di sole e caldo, dove il mio cammello, sporcato miserabilmente di maionese di patatas bravas il secondo giorno, in un osteria nei pressi della Barceloneta, è stato sufficiente, talvolta eccessivo, per le temperature che abbiamo incontrato.
Arrivo a Barcellona, non dei migliori. Dopo un’ora di giri matti e disperati in taxi, per ovviare alle due manifestazioni che si stavano svolgendo nel cuore della città, il tassista decide di lasciarci all’inizio della via dove era situato il nostro hotel. Carrer de Sant Pau, che vai a sapere si trovava nel bel mezzo della zona di cui la Lonely riferiva “Dà il meglio di se quando cala la notte, e non solo per le attività illecite che si praticano nell’oscurità. […] conserva ancora l’anima equivoca dei tempi andati, per cui è meglio evitare di avventurarsi da queste parti nel cuore della notte […].” Una via terribile anche di giorno e senza oscurità, dove negozi di telefonia cinese, si alternavano a macelllerie allal, a loculi che vendevano kebab, a market aperti 24h. La percorriamo tutta, fino a vederne la fine e trovare il nostro Hotel España Ramblas. Bello, personale cordiale e disponibile, in una posizione strategica, sulla Rambla, a nemmeno 100 metri dal Mercat de la Boquería, a pari distanza dalla Barceloneta, Plaça de Catalunya, il Barrio Gotico ed El Raval.
Arriviamo per ora di pranzo, tour d’obbligo nella colorata, ricca, fastosa, chiassosa Boqueria: una manciata di frutta secca, qualche assaggio di jamon serrano e ci accomodiamo agli sgabelli del chioschetto Ramblero, specializzati nei frutti di mare, che non abbiamo assaggiato; di mare, solo qualche calamaro fritto e una povera aragosta che ci guardava, muovendo le branchie, con le chele scocciate. Inquietante. Il chioschetto buono, tornati anche l’ultima sera per un aperitivo volante.
Il pomeriggio lo trascorriamo a zonzo nel Raval, tra giretti per negozi, università e il MACBA, con i suoi skaters. Ci affacciamo, poi, su Passeig de Gràcia, per rientrare nel Barrio Gotico, dove ci godiamo il tramonto con una bollicina, seduti nella bella terrazza de El Cercle, mangiando di soppiatto le mandorle e le nocciole Macadamia, acquistate al mercato. Visitiamo la Cattedrale, per poi addentrarci nelle stradine dal sapore medievale del Barrio Gotico. Atmosfera suggestiva, si è immersi in un’atmosfera di altri tempi, lampioni in ferro battuto dalle luci calde e viottoli stretti. Prima di cena, facciamo tapas (espressione coniata nel corso della vacanza) a El Born, prima nella Bodega La Puntual, tradizionale taperia, buona, senza fronzoli. Seduti intorno ad una botte, beviamo un Cava e mangiamo patatas bravas, crocchette di jamon, Pa amb tomàquet e qualcos’altro. Un posto che ho amato è stato, invece, il secondo locale, a pochi passi da lì, Bar Brutal, fighissimo. Serve solo vini e liquori naturali, con proposte gastronomiche interessanti, che esulano dai classici assaggiati in questi giorni. Il posto è veramente bello, bello. Al mio ragazzo non è piaciuto, ma lui odia i vini naturali. Per cena, abbiamo raggiunto a piedi il ristorante Senyor Parellada, ottimo. Bella la location, il cameriere che ci ha servito, attento e simpatico, ci ha saputo guidare impeccabilmente sia dal punto di vista eno che gastronomico.
Il secondo giorno lo abbiamo dedicato al mare. Una giornata bellissima, con sole e una temperatura di circa 18 gradi. Iniziando dal Port Vell, abbiamo camminato sino alla spiaggia, dove c’era un gran viavai, tra biciclette, gente che faceva il bagno e tizi che “scolpivano” mastodontiche opere di sabbia, che sputavano fuoco e traboccavano vino. Dopo aver scampato un brunch di 40 euro bevande escluse al W Hotel, dove comunque siamo incappati per un aperitivo in prima serata, abbiamo pranzato al ristorante El Vaso de Oro. Situazione completamente diversa da quella che avremmo trovato poche ore dopo al W. El Vaso de Oro è un’osteria vecchio stampo, dove i camerieri in livrea cozzano tantino con l’ambiente circostante e il loro fare più che frenetico. Il posto è un lungo corridoio, diviso in tre sezioni orizzontali di egual misura, zona camerieri, zona bancone vetrinato con prodotti in bella vista, da cui scegliere a mo’ di menù, zona commensali, che possono accomodarsi solo al banco, seduti su sgabelli, o in piedi, com’è toccato a noi. Il corridoio dedicato agli avventori è talmente stretto e c’è talmente tanta gente che per spostarsi da una zona all’altra del locale tocca uscire dal locale e rientrarvi nel punto stabilito. Si mangia da paura. è frenetico, stressante, i camerieri ti trattano – con fare simpatico – a pesci in faccia, ma è davvero un posto dove tornerei. Per il clima gioviale e caotico e per la varietà delle tapas, che spaziano dalle classiche patatas bravas – che non ce ne siamo persi una – al fantastico solomillo con foie, che lo paghi inconsapevolmente 22 euro, ma è davvero da paura.
Il pomeriggio è trascorso alla disperata ricerca della torre da cui prendere la funicolare per raggiungere il Montjuïc e credere di fare una bella passeggiata panoramica. Bene, non è accaduto nulla di tutto quello che avevamo preventivato. La funicolare non siamo riuscita né a prenderla, né a trovare dove si prendesse, pensate che abbiamo anche preso un taxi, per aiutarci nella ricerca fallimentare. Montjuïc niente di che. Non c’è nulla, a parte una terrazza panoramica senza emozioni. Tapas sparse e per concludere cena spartana ma non troppo al Tapas 24-Pº de Gràcia dello chef catalano Carles Abellan. Il locale è sotterraneo vivace e colorato. Tutto è preparato a vista con simpatia e cordialità. Piattini ben fatti, qui abbiamo assaggiato il Pa amb tomàquet migliore di Barcellona. Da ricordare negli anni, l’uovo strapazzato servito su jamon e patate fritte. Un piatto ignorante e pieno di gusto. Da sogno.
Il giorno dopo, vigilia del mio compleanno, è stato dedicato a visite culturali (da non perdere per alcuna ragione Casa Batlló, la Sagrada Famiglia) e shopping. Suggerisco in zona Passeig de Gracia, un pranzo nel ristorantino La Cuina d’en Garriga, a metà tra un alimentari de noantri, una sala da tè e un coworking, dove mangiare sfiziostà, circondati da prodotti di ottima qualità impilati negli scaffali e stampe vintage. Pranzo leggero, di gusto, ho mangiato un ottima tartare tagliata al coltello e guardato il mio ragazzo mangiare, tra le tante cose, un rettangolo di torta al cioccolato dal cuore morbido, sale e olio EVO. Era profumata e la lussuria da lui adoperata faceva davvero ben sperare, con un briciolo di invidia.
Per la mezzanotte, abbiamo optato per il Manairó di Jordi Herrera. Un posto incredibilmente unico, sia nell’aspetto, che nella proposta.
Ciò che sorprende, una volta entrati da Manairó è la totale oscurità in cui si è avvolti. Ci viene a prendere il maître, che nell’accompagnarci prende una lanterna, una sorta di gabbietta, che appende alla catena sospesa su quello che sarebbe diventato il nostro tavolo. Solo tre tavoli quel lunedì sera. Tre isole nel più profondo buio. Costellato da pochi punti luminosi nascosti sotto ragni di ferro posizionati sulla parte alta delle pareti. Il maître e sommelier è cordiale e cortese, continuava a sorridere nonostante il menù degustazione di quattordici portate, sin troppo mini devo dire, bocconi sarebbe la parola giusta, alle 22:30 di lunedì sera.
La cena è stata molto particolare e ricercata. Molti piatti bocconi sono stati serviti su strutture in ferro/legno/pietra pensate ad hoc, ma se dovessi dare un giudizio spassionato, è stata una cena molto più incredibile e ardita che effettivamente gustosa. Alcuni piatti erano davvero buoni, ma nulla di trascendentale ecco. è un posto in cui, dovessi ritrovarmi a Barcellona, non tornerei, preferendogli invece Alvart, dello chef Alvart Ayuso, considerato il cuoco più promettente della Catalogna, e non tornerei il lunedì, loro giorno di chiusura.
E così la mezzanotte è passata senza candeline, ma con il bacetto del nostro ospite, davvero gentile e premuroso ancora una volta.
Tre giorni bellissimi, in una città dalle mille sfaccettature, dove luoghi totalmente diversi l’uno dall’altra convivono a pochi metri di distanza.
Ho amato la cordialità degli spagnoli, il loro vivere allungato, le sere che sembrano non finire mai, a furia di tapas e calici di vino.
Ho amato il clima tiepido e il mare vivo, nonostante l’inverno, l’atmosfera surreale conferita dalle opere gaudiane che impreziosiscono la città, puntellandola di meraviglie inaspettate – la Sagrada Familia è da togliere il fiato, talmente alta da far venire le vertigini malgrado i piedi piantati a terra.
Ho amato Barcellona, perché tutti lo dicono, ma un conto è ascoltare, un conto è sentire propria una città che fino a tre giorni prima a malapena conoscevi.
Leave A Reply