Amo le sorprese, soprattutto quando si tratta del 23 gennaio, il giorno del mio compleanno. Le amo talmente tanto che, mai e poi mai, rischierei di rimanerne senza, dunque, chiedo espressamente mi vengano fatte. Tendo anche dare dei piccoli indizi per far sì che la sorpresa rispecchi proprio ciò che desideri.
Era proprio il 23 gennaio, quando tornavo da Barcellona, dove ero stata per festeggiare la vigilia dei miei natali. Appuntamento alle 19:00 sotto casa. Mio padre preferisce le prime ore della serata per cenare, ma le 19 erano presto anche per lui. Immagino dunque, avremo dovuto affrontare qualche chilometro. Mi vengono in mente Il Focarile ad Aprilia e Vallefredda di Colonna a Labico.
Dopo un’ora di macchina, su una stradina buia, leggo, su di un cartello, la scritta Acuto. Il collegamento è immediato: Colline Ciociare di Salvatore Tassa. Grande emozione mi pervade, salto di gioia nonostante sia costretta, nei sedili posteriori, tra mia sorella e il mio ragazzo.
Freddo apocalittico, varchiamo celermente la porta d’ingresso, ciò che colpisce è l’insegna sulla destra, un targa in plexiglass, con serigrafato lo stemma dei Tassa: una T con profonde radici, a simboleggiare la centralità della famiglia e del territorio e la scritta “Casa di cucina”. Atipico per un ristorante una stella Michelin.
Ad accoglierci quello che scopriremo essere il figlio minore di Salvatore, Giovanni, che ci fa strada in una saletta, quella sera solo per noi. Sul tavolo spicca una sfoglia di pane e una di polenta, memorabile quest’ultima, contraddistinta da una nota dolce conferita dal glucosio nell’impasto e arricchita da nocciole, sesamo e maggiorana.
Non leggiamo menù. Papà opta per i Classici, una carrellata di piatti che hanno reso le Colline Ciociare di Acuto, le Colline Ciociare di Acuto.
Gli entrée non tardano ad arrivare: una coppa Martini ripiena di crema di zucca e zenzero coronata da una salsa di funghi porcini essiccati, tassativamente da mangiare dal basso verso l’alto; a seguire una bombetta fritta con cacio e pepe, un sandwich cotto al vapore al profumo di bosco con centriolo e curry rosso e una cialdina di miso con ricotta di pecora e mostarda di limone salato.
Ottimo inizio, gli entrée sono vari e sfiziosi, giusto preludio di una cena quale qualla che ci avrebbe atteso.
Con il primo antipasto, facciamo un salto nel 1990, anno d’origine di quello che lo chef considera il suo biglietto da visita: la cipolla fondente, uno scrigno d’oro rosa, una perfezione da commuovere. Un confort food così perfetto e così invernale che fa subito camino e pranzo della domenica con nonni e casa di campagna al seguito. La cipolla è una cipolla gialla napoletana infornata coperta di sale grosso, svuotata e nuovamente riempita della sua polpa mantecata con olio EVO e pepe nero. L’interno è caldo e avvolgente, morbido, cremoso, soffice. Un piatto indimenticabile.
Giovanni Tassa è cordiale, spiega i piatti con maestria, parla del papà come lo chef, che quel giorno non c’è, via per una cena commemorativa in Svizzera. Racconta la storia del nonno, fatto prigioniero, durante la seconda guerra mondiale. Ci racconta la storia della sua famiglia, del papà nato a Bradford nel ’56 e trasferitosi, dopo appena 3 anni, ad Acuto, nel paesino d’origine dei suoi genitori, nel paesino cui decise di dare origine alla sua creatura e ai suoi figli, Giovanni e Walter, che sono accanto a lui nel centrotavola, fatto di tre sassi, uno più grande e due più piccoli. Radici, legami, famiglia, unione, solidità.
Con il secondo antipasto viaggiamo più easy. Facciamo un salto in avanti nel 1998 e assaggiamo un cannolo croccante di polenta con ricotta di pecora di Acuto, insalatina di spinacino bio, scottato con sesamo bianco, servito su un fondo d’olio al basilico e rapa rossa. Il piatto è croccante, sfizioso, fresco, ma non raggiungiamo le profondità, il viaggio emozionale del fondente.
Di grandissimo impatto, più olfattivo che visivo, invece, il primo: una fettuccina con pomodorini alla brace, pecorino e vaniglia bourbon. La dolce acidità dei pomodori, la sapidità del pecorino e l’amabilità della vaniglia ci danno il benvenuto nel XXI secolo, con un piatto che risale al 2001. Il piatto è un’inebriante esplosione di gusto. Il mio preferito della degustazione, forse il primo tra i piatti per cui tornerei ad Acuto, alle Colline, dai Tassa.
Proseguiamo con un fuori menù di caccia. Un salambo con stufato di capriolo speziato, spinaci in agrodolce con una riduzione di Porto, crema di mela cotogna e tartufo nero. Il piatto è antico, la sua preparazione, ci spiega Giovanni, risale ai primi dell’800.
Pieni di cibo e gioia e soddisfazione, vediamo arrivare dalla cucina il secondo dei Classici, un piatto del 1996: Agnello bio cotto in aghi di pino e fieno servito su una riduzione di agnello e vino rosso, accompagnato da una crema di patata affumicate, cavolo e cipollotto. La carne è tenera e succosa, il piglio affumicato rende il piatto davvero interessante.
Passato il secondo, ad aspettarci solo il predessert e un dolce del 2003, rispettivamente un gelato di meringa e limone, polvere di capperi e limone candito e un wafer alla cannella con crema chantilly al caramello e gelato al caffè moka. Terminiamo così la cena. Un saluto, la promessa di tornare per conoscere lo chef e mangiare nella saletta con il camino acceso, e si rientra in macchina, meno di un’ora e siamo a Roma. Con la pancia piena e un sorriso beato sul viso.
L’esperienza alle Colline Ciociare è un viaggio nella vita dei Tassa, nei piatti che ne hanno fatto la storia e in quelle radici che continuano ad alimentarla.
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