Arriviamo a Norcia in un pomeriggio di sole, sono le 17.00, troviamo parcheggio proprio di fronte alla nostra residenza di una notte, la striscia blu non si paga, di fronte c’è un’inferriata che chiude un vicoletto da cui si intravedono i colli che incastonano la cittadina di Norcia: “Comune di Norcia – divieto di accesso – ZONA ROSSA”. Brividi. Sembrava un pezzo di ferro messo lì così. Appoggiato, forse dimenticanza da tempi antichi quando esistevano zone rosse, zone in cui era pericoloso entrare. Ci faccio poco caso. Palazzo Seneca ci attende. Un palazzo del 1500, pregno di storia ed eleganza. Dopo un rapido giro della struttura, veniamo accompagnati nella nostra stanza. Secondo piano e poi ancora una rampa di scale in legno. Una sola porta al termine della salita: L’eremo. Una piccola mansarda dai soffitti con travi a vista. Legno scuro, colori caldi, bagno megagalattico con vasca di design e cabina doccia grande suppergiù quanto la mia stanza. Un filo di luce filtrava dalle imposte socchiuse, le apro e l’intenso verde delle colline brillava quasi più del sole, prossimo al tramonto.
Ci affrettiamo a scendere nella SPA, piccola ed intima al piano -1. Il mio amore per la quiete è proverbiale e dopo poco inizio a scalpitare, voglio visitare la cittadina, fare un giro per negozi e un ricco aperitivo. Cinque minuti di sauna e via. si torna in stanza per prepararsi. Usciamo dall’hotel che il sole era calato. Di nuovo “Comune di Norcia – divieto di accesso – ZONA ROSSA”, stavolta illuminato da lampioni, uno solo, l’altro era fulminato. Ci addentriamo in Piazza San Benedetto dove, ancor prima della statua del santo, l’occhio è catturato da una camionetta dell’esercito. Poi San Benedetto al centro e poi ancora un mastodontico intrico di ferri. Una gabbia impressionante imprigionava la facciata del Duomo distrutto, crollato, sgretolato. INAGIBILE, DELOCALIZZATO, polizia, CI SIAMO SPOSTATI. Poi un negozio aperto, una norcineria. Beviamo, mangiamo qualcosa, acquistiamo qualcosa, chiediamo qualcosa: “è finito tutto”. Sulle mura dei palazzi, ci sono crepe, alcuni tetti sono sgretolati. Norcia, nonostante le sue ferite, conserva il fascino di una cittadina elegante. Il corso ampio costeggiato da palazzetti bassi dai vari colori, è buio, ma il giallo e il rosa spiccano, “è finito tutto”, ma la giovialità, la voglia di vivere, la gentilezza degli abitanti di Norcia, non aspetta a palesarsi nel volto e nelle parole del nostro seguente incontro, il signor Alessandro Severini Perla. “Un nome nobile” dico io, “d’animo” risponde lui. E d’animo è davvero nobile il signor Alessandro Severini Perla, norcino – l’unico mestiere che prende il nome da una città. Alessandro ci racconta la sua storia mentre taglia a mano il prosciutto, mentre ci offre del pecorino, mentre ci illustra i benefici del polline. Noi beviamo un Rosso Bastardo del 2016, nei bicchieri di carta, tanto la voglia di stare a sentirlo. www.norciafood.it non è un bar, né tantomeno un luogo atto al servizio. www.norciafood.it è un e-commerce su strada, nato nel 2000 (2000!!) come negozio online. www.norciafood.it è la prova tangibile della pervicacia di un uomo, di un paese che nonostante le difficoltà, ha saputo rimboccarsi le maniche, sgombrare la mente dall’amaro della legittima consapevolezza di un destino avverso e creare, reinventarsi. Alessandro apre il suo e-commerce, in tempi non sospetti, dopo aver scelto, per motivi politici, di lasciare la cooperativa latto-casearia in cui lavorava da anni. Alessandro, dopo quel 30 ottobre del 2016, non ha fatto altro che battersi per riaprire la propria norcineria, le cui mura erano solo lievemente danneggiate. E come lui, in tanti hanno nel cuore e nei fatti, nella battuta pronta e nella qualità dei loro prodotti, la chiave per far sì che Norcia continui a vivere; a tratti deserta, delocalizzata, ferita, ma comunque viva. Viva come la domenica mattina del giorno dopo, quando in piazza San Benedetto era stato allestito un campetto di minivolley, e al posto di quel mostro di ferraglia, gli occhi, in primis, erano colpiti da gonfiabili colorati, sistemati attorno alla statua del santo patrono, quando la via brulicava di turisti e le norcinerie, alcune con i banchi fuori il negozio, urlavano all’assaggio, qualche volta piccante, qualche volta arguto, sempre generoso, di prodotti eccellenti, che dove cadi, cadi bene. E siamo caduti bene nella Norcineria Centrale Laudani, in cui abbiamo fatto una degustazione coi fiocchi, tra pecorini con diversi gradi di stagionatura, caciottine al tartufo, prosciutto di Norcia – che non è più quello salato de ‘na volta – e salami di capriolo. Una boutique, da poco allestita in quello che era un negozio di abiti. “Prima del terremoto il negozio era al numero 8 di Piazza San Benedetto”. Una foto ricordo e via il cappello di pile con su scritto “i love Norcia”, che va bene tutto “ma qui si è anche altro”. Dignità, simpatia, autenticità. Lasciamo Norcia da una via secondaria, costeggiando la zona in cui stono state classificate le pietre della cattedrale. Stralci di una storia impietosa.
Lasciamo Norcia e ci immergiamo nel verde che la cinge. Non ho mai visto un verde così fulgido. Norcia lascia un segno. Che non è il chilo in più sulla bilancia il giorno dopo, ma la profonda riflessione che si barcamena tra la tragedia di una cittadina distrutta e la forza di chi ha deciso di restare, tornare, o arrivare, per diventare parte attiva della sua rinascita.
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