Quando, quest’estate, ho letto i primi articoli circa l’arrivederci di Luciano Monosilio al ristorante Pipero, la mia mente ha urlato NO, Pipero è sempre stato uno dei miei ristoranti più amati. Alessandro e Luciano. Uno in sala, l’altro in cucina per offrire all’ospite un messaggio univoco: accoglienza stellata, poco leccata, molto disimpegnata, spesso giocosa; piatti semplici, studiati, schietti, curati, buoni. Quest’estate, ho letto che Luciano avrebbe lasciato il timone della “cucina piperiana”, che avrebbe viaggiato e poi aperto un ristorante tutto suo. Ho letto che avrebbe voluto riportare in auge il RISTORANTE PIZZERIA, quel tipo di locale in cui, generalmente, si fa tutto; in cui, generalmente, però, nulla brilla. Ho letto che avrebbe aperto nel cuore di Roma, dove la cucina soffre di grave incapacità, incuria, ignoranza, dove basta che, nel nome, figuri una zia, una nonna, una mamma giustapposta a un nome rassicurante d’altri tempi, che tradizione è fatta. Ma quando sarebbe avvenuta questa rivoluzione? Nessun indizio sulle tempistiche. Poi, i primi di settembre tutto è pronto, il 20 settembre si comincia. Siamo a Campo de’ Fiori – amo – al numero 18 di Piazza del Teatro di Pompeo.
Sabato sera, prenoto da Luciano Cucina Italiana. Il tempo a Roma fa paura, pioggia, pioggia, pioggia. L’idea del traffico, della difficoltà di parcheggio, della Coldiretti al Circo Massimo con Via dei Cerchi bloccata, quasi mi fa desistere. Ma alle 21:30 ci sono, parcheggiata e asciutta varco l’ingresso del ristorante. Bello, familiare; colore predominante verde, alcuni muri sono verniciati, altri coperti di maioliche, i soffitti hanno le travi a vista, le lampadine sono basse, oscillano da corde di canapa, alternate a piante sospese a mezz’aria. I tavoli sono di legno grezzo, non c’è traccia di apparecchiatura, solo bicchieri, quelli delle osterie di una volta, e una scatola di latta bianca con su scritto LUCIANO. Dentro, posate, tovagliolo, due mattonelle che dopo brainstorming fallimentare – sottobottiglia? Piattino per il pane? – mi hanno spiegato essere dei “posaposate”. Nella semplicità dell’apparecchiatura, un’accortezza non scontata, apprezzo.
Ci portano il menù, ricco. Avrei voluto assaggiare qualsiasi cosa, pasta, pizza, fritti, carne, tutto. Alla fine, ho optato per il VITELLO TONNATO – Vitello con salsa di tonno, capperi, senape, fagiolini e patate. Da paura. Buonissimo. Nella salsa tonnata è la senape a farla da padrona, la maionese serve giusto a dare quella punta di morbidezza. La trovo una scelta azzeccatissima, un vitel tonnè vigoroso, arricchito da fagiolini, patate lesse tagliate a cubetti e foglioline di sedano. Si parte al top. Mia sorella prende le MONTANARINE CLASSICHE, pizza fritta con pomodoro, parmigiano e basilico, che arrivano in una padella doppio manico ricoperta di carta paglia. Molto, molto buone anche loro.
Per primo, non potevo non prendere la carbonara, devo dire che anche il RIGATONE – Rigatone, broccoletti, salsiccia e spuma di pecorino, mi tentava assai, riminescenze piperiane, ma alla fine ha vinto LA CARBONARA. Che dire. Tanta. La pasta è una scifra, per dirla alla romana. Spaghetti. Il tipo di pasta mi ha stupito. Mi sarei aspettata una mezza manica o va bene pure uno spaghetto, ma più spesso. Lo spaghetto che usa Luciano ha, invece, un diametro piuttosto sottile. Ed è buonissimo. Non so come dire, la pasta è un tutt’uno con la crema tuorli-grana-pecorino, non lo so, ragazzi, è come se i quattro ingredienti fossero nati per stare insieme, per dar vita a un elemento tutto nuovo: lo Spaghetto alla carbonara. E poi c’è il guanciale, tanto. Croccante fuori e fondente dentro, che storia! Un primo magistrale, nella sua semplicità. Luciano allega anche un bigliettino con su scritta la ricetta per provare a rifare a casa la sua carbonara. Un bel pensiero, ma io tornerò a mangiarla da lui.
Sono piena. Ma i nostri vicini di tavolo, continuano ad ordinare pizze di ogni genere. La voglio anche io. Mia sorella è stremata. Io guardo la pizza dei vicini con gli occhi dell’amore, il fidato Salvatore, colui che ha presieduto, per tutta la sera, il nostro tavolo, lo intercetta e ci fa arrivare due spicchi di margherita. Anche la pizza non delude. Elio Santosuosso, agropolese, vincitore di Pizzaiolo Emergente 2015, con lunga esperienza alla corte di Giancarlo Casa della Gatta Mangiona, prepara una pizza ottima, classica napoletana, con un cornicione importante cuscinoso-sofficioso che lasciarlo è un vero delitto. “L’impasto – ci spiega Elio – che lievita per circa 36 ore, prevede un 20% di farina integrale, che garantisce alla pizza, pur nella morbidezza, un pizzico di fragranza”. Ottima.
Ora siamo davvero stremate, ma dobbiamo provare i dolci, non possiamo arrenderci. Ci fidiamo di Salvatore ed ordiniamo il TIRAMISÙ TRADIZIONALE, che, a suo dire, è l’equivalente della carbonara per i dolci. Il tiramisù arriva in una campana di vetro. Salvatore ci spiega che i savoiardi -asciutti, sul fondo – vanno bagnati rompendo, con la punta del cucchiaio, la capsula di cioccolato fondente ripiena di caffè liquido, posta appena sopra di loro. Il tiramisù è davvero buono. La crema al mascarpone è soffice e spumosa, abbondante. Bagnando i biscotti sul momento, se ne percepisce l’essenza. Il savoiardo esiste! Non è solo un biscotto al servizio del tiramisù, è un biscotto di per sé e, almeno quello di Luciano, è pure buono.
Che dire, una cena ottima, dove nonostante la recentissima apertura tutto ha funzionato alla perfezione. Zero tempi di attesa, il personale è giovane, dinamico, attento e disponibile, i piatti semplici, di altissima qualità, la pizza è ottima, leggera e digeribile. Il locale è grazioso, per nulla scontato, l’idea è ambiziosa e assolutamente vincente. Luciano, supportato da una grande squadra, riesce a fare tutto e farlo bene, addirittura, tra qualche tempo, da Luciano Cucina Italiana, si potrà venir anche solo ad acquistare la pasta sfusa, trafilata al bronzo, prodotta nel micropastificio allestito all’interno del locale, appena varcata la porta a destra. Luciano Cucina Italiana è un progetto giovane, con basi solide e un’anima collaudata dai tanti anni di esperienza nel mondo dell’alta ristorazione. Già si parla di esportare il format all’estero, progetti ambiziosi i loro, il mio, per ora, rimane quello di tornare per la pizza e chissà che dopo non ci scappi pure una carbonara.
Leave A Reply