Matera, Capitale Europea della Cultura 2019. Era tantissimo che desideravo visitarla. Sempre troppo caldo, poi troppo freddo, poi troppo lontano, poi troppo cara e via discorrendo. Desiderio si acuisce quando, dopo essere stata a Borgo Egnazia, sono venuta a sapere della presenza di un presidio della famiglia Melpignano anche a Matera, ma soprattutto quando leggo, su una delle mie testate di fiducia, che Vitantonio Lombardo aveva lasciato lo stellato Locanda Severini di Caggiano (Sa), di cui era titolare dal 2012, per trasferirsi nel capoluogo lucano, con un ristorante che portava il suo nome.Alla prima occasione valida, dico addio al sogno di soggiornare da Sextantio e prenoto due notti all’altrettanto valida Dimora di Metello e una cena da Vitantonio Lombardo, ancora senza stella.
Matera
Matera è bellissima, il viaggio per arrivarci, perlomeno da Roma, meno. Macchina-treno-aereo. Optiamo per la soluzione offerta da Italo (Trenitalia ne offre una identica), treno Roma-Salerno e poi navetta fino alla città dei sassi. È tutto organizzato molto bene, il minipullman di Italo ti attende proprio dirimpetto all’uscita della stazione di Salerno – se non fosse piovuto, sia all’andata che al ritorno e se i vetri non fossero stati oscurati, il viaggio sarebbe stato addirittura piacevole. Lungo, ma piacevole. Arriviamo a Matera verso le 14, scesi dal bus, ci abbiamo messo più o meno un’ora per arrivare al B&B, complice la mia incapacità di seguire le indicazioni del navigatore, tra sali e scendi in mezzo a sassi scoscesi, panorami mozzafiato e togli metti cappotti-sciarpe-maglioni e chi più ne ha, più ne metta.
Varcata la soglia del B&B, ci accoglie Elisabetta, la proprietaria, che ci fornisce indicazioni su cosa visitare, come muoverci in città. La Dimora di Metello è un gioiellino che non ci ha fatto per nulla rimpiangere Sextantio. Sia le stanze, che i luoghi comuni sono arredati con gusto e un’eleganza perfettamente calzante alle forme irregolari imposte dal territorio.
Dalle descrizioni sembra abbastanza semplice orientarsi a Matera. Sasso Caveoso, Sasso Baresano e in mezzo la Civita, da cui spicca la Cattedrale. Banale. Ecco, se tornassi a Matera, io continuerei a perdermi, nonostante le strade percorse siano sempre le stesse.
Il primo giorno lo abbiamo dedicato alla visita della cittadina, che è davvero meravigliosa. Chi dice che Matera è un posto unico nel suo genere ha ragione. Chi dice che quando pensi di aver visto il panorama più bello, hai da contraddirti il secondo dopo, perché ne hai scovato uno di gran lunga superiore, non puoi dargli torto. Matera somiglia ad un presepe, anche se quando siamo andati eravamo ben lontani dal Natale. Ho amato, in particolar modo, l’affastellamento di roccia – il Monterrone – che ha alla base la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, nota come San Pietro Caveoso, che colpisce per la sua controsoffittature in lastroni di legno, e al vertice la chiesa rupestre di Santa Maria di Idris, il cui ingresso richiede un’offerta di 3 euro. Elisabetta ci aveva consigliato di visitare la Casa di Noha, restaurata dal FAI, a cui gli eredi della famiglia Noha, appunto, l’avevano donata nel 2004, ma non siamo riusciti. Il giorno dopo lo abbiamo dedicato alla visita del Parco Murgia, che abbiamo raggiunto con il Matera City Tour, per 15 euro a persona. Io avrei optato per qualcosa di più approfondito, ma qualcuno non era così propenso ad affrontare 3 ore a piedi nel parco, in giro a zonzo per natura selvaggia incontaminata e chiese rupestri con affreschi risalenti ad un lasso di tempo che va dal VIII al XII secolo. Di chiesa rupestre ne abbiamo vista solo una ed è davvero sconvolgente, vedere quanto bene si siano conservate queste opere, all’aperto e alla portata di tutti.
Dove mangiare a Matera
Matera è bellissima, ma chi ci conosce bene sa, che oltre alle bellezze naturali, artistiche, architettoniche, i nostri viaggi dedicano sempre ampio spazio alle discoverte in ambito eno-gastronomico.
L’aperitivo
Imprescindibile consumare un vostro pasto, che sia un pranzo easy o un ricco aperitivo all’Antica Credenza, locale che offre suntuosi taglieri di salumi formaggi e specialità locali, accompagnati da un’ottima selezione di vini. Noi abbastanza monotematici, sia per aperitivo del primo giorno, che per pranzo del secondo abbiamo scomodato le Cantine del Notaio, una volta bevendo il loro spumante brut metodo classico fatto con Aglianico del Vulture in purezza, l’altra brindando a base di La Firma, tra i loro vini più complessi e strutturati. Il personale è giovane ed estremamente cordiale. Il servizio veloce e i prodotti utilizzati di alta qualità.
Il secondo giorno, il nostro aperitivo lo abbiamo consumato all’Enoteca dei Tosi. Fantastico. Il locale che vorrei a Roma e che diventerebbe, in un attimo, il mio locale di fiducia, quello per cui affronterei traffico e chilometri, pur di trascorrerci del tempo. L’Enoteca dei Tosi nasce nel 2016 con il concorso internazionale di architettura “enoteca dei tosi – design contest”, che avrebbe premiato il progetto, che meglio sarebbe stato in grado di coniugare design e territorio. A vincere uno studio belga che ha realizzato uno dei locali più belli e particolari che io abbia mai visto. Un edificio su tre livelli attraversati da scale. La prima cosa che mi è venuta in mente, entrando nell’Enoteca dei Tosi, è stato un anfiteatro greco. Le sedute a gradoni guardano una volta il bancone, una volta la cantina. Il bianco del tufo si alterna al verde smeraldo della stoffa dei cuscini, del legno dei tavolini e del vetro delle lampade a soffitto. Selezione di vini incredibili, Gian Paolo Buziol, il titolare di natali veneti, si è fatto più di 320 cantine per 22000 km per trovare le etichette imperdibili per i suoi ospiti. Per noi, due calici di Brut Rosè di D’Araprì, accompagnati dai cicchetti della cucina, olive di ferrandina fritte e crocchette di fave e cicorie con ketchup al crusco, buonissime.
La cena
Passando alle cene, la prima sera, siamo capitati in uno dei pochi locali, a dire della nostra host Elisabetta, che serve cucina lucana senza contaminazioni della vicina Puglia. Merito della chef e padrona di casa, Enza Leone, originaria di Gorgoglione, un paesino che sorge sull’alta collina materana. Abbiamo cenato all’Osteria Pico. Un ristorante grazioso, rustico senza eccedere, scavato anch’esso nella roccia. Cucina di casa, ricca e ben confezionata. Abbiamo preso un abbondante antipasto, composto sa vari assaggi. Salsiccia sbriciolata, fave e cicoria con crostini di pane e peperone crusco, zuppa di fagioli con castagne e pezzente e molto altro. Il primo lo abbiamo saltato, per gustare subito una tagliata di manzo podolico con grana, rucola e aceto balsamico, accompagnata da fantasmagorici medaglioni di patate con cipolla di Tropea e peperoni cruschi. Ad accompagnare il pasto, di nuovo, uno dei vini delle Cantine del Notaio. Cena divertente, piatti tanti e buoni, servizio attento, curato e diretto dal figlio dello chef, che nonostante il ristorante pieno, non ci ha mai fatto mancare cure e premure.
L’indomani, poi, è arrivato il turno di Vitantonio Lombardo. Arriviamo al ristorante alle 21:30, dopo una bellissima passeggiata tra le stradine della cittadina illuminata. Il locale, scavato in un sasso, si estende in lunghezza, da un lato sono disposti i tavoli, massimo una decina, non di più, che guardano alla cucina dirimpetto, rigorosamente a vista. A dominare, il bianco della calcarenite e della mise en place. Tre i menù degustazione tra cui scegliere: Mat.era, Mat.eria e VL, tutti da un massimo sette portate con possibilità di sceglierne, ad un prezzo ridotto, anche solo 5 o 6. Optiamo per l’ultimo, completo, quello che porta le iniziali dello chef, un’ode alle sue creazioni di una vita.
Era parecchio tempo non vivessi un’esperienza simile in un ristorante. Tutto perfetto, dall’atmosfera, data dal magico mix tra luci, design, luci e colori tenui, alla cucina, dove nessuno dei piatti di chef Lombardo ha destato un minimo di delusione, alla sala, presente, senza essere asfissiante, formale senza essere ingessata, c’è scappata pure qualche risata e qualche confessione con chi della sala ci ha accompagnato lungo il nostro viaggio firmato VL, Jhonatan Fusilli. Iniziamo con gli entrèe, offerti dalla cucina: una spugna di ceci avvolta in una fettina di guanciale e una spolverata di caffè, una pralina di ricotta panata con taralli al finocchietto e della pasta fritta con maionese, pomodoro e scaglie di cacioricotta. Il pane è servito in un cofanetto di legno scuro. Ne saranno arrivati non meno di cinque, di cofanetti, nel corso della serata, tanto era buono. A Matera, sul pane non si scherza e Vitantonio lo sa, tanto da destinargli un posto d’onore, in tutti i sensi, insieme a taralli, focaccia, panini alla zucca ed un pane al carbone ripieno di ricotta.
Il primo antipasto, tra i piatti del cuore della degustazione: Steccafisso di Baccalà con Maionese di Peperoni e Lamponi. Si mangia con le mani, al primo morso il panko e croccante, il baccalà mantecato, cremoso oltremodo. Una goduria per occhi e palato. Davvero buono.
Il secondo antipasto è scenografico. Mi è caduto l’uovo nell’orto. Un piatto ricco e complesso, dove un uovo cotto a bassa temperatura, adagiato su una terra fatta di briciole di pane al cacao, è circondato da 12 verdure, cotte ognuna, in modo diverso. Si parte con la zucca, si chiude con la cipolla. Buono, ma superlativo è stato il terzo antipasto, un classico di chef Lombardo, che lo propone in carta dal 2012, un omaggio ad un altro grande chef, Davide Scabin: Pizza in Black. Pizza in Black ha stravinto su tutto. Una pizza fritta con un impasto di carbone vegetale, salsa di tartufo all’aglianico, crema di ricotta e grana, coronata da caviale di tartufo. Assurdo. La pizza è soffice e tutto il resto è sublime. Il piatto migliore delle serata. Indimenticabile.
Proseguiamo con due primi, Riso di Semola con Lumache, Cardoncelli, Prezzemolo e Limone e Fusillone in Salsa di Agnello alla “Frish Tak” – richiamo allo sfrigolare della carne – con Menta e Peperoncino. Io amo i funghi cardoncelli. Odio le lumache. Sono uno di quegli alimenti che, a prescindere, no, come le ostriche o i ricci di mare. Io lo sapevo che Vitantonio le proponeva. Ero arrivata preparata a quella sera, ma nonostante i miei tentativi di convincermi, che bisogna fidarsi e affidarsi allo chef, e tutte quelle menate – a cui io credo davvero – le lumache proprio no. Poi, Jonathan ci intima che le lumache sono tritate insieme ai funghi. Impercettibili. Ci fidiamo. E alla fine le lumache le abbiamo mangiate e ci sono pure piaciute, bastava non pensarci e quando ti capitava, tra i chicchi di riso di semola, un pezzetto callosetto, pensare che fosse un fungo. Cos’altro sennò?!
Per secondo, tra la Guancia di Manzo al Cucchiaio in Salsa d’Amaro Lucano, Zucca, Cruschi e Caldarroste e il Piccione, Uvetta alla Grappa, Cicoria e Manjari, abbiamo scelto con orgoglio, una buona dose di coraggio e una punta di spirito autolesionistico, il secondo, nonostante fossimo stati avvisati della presenza del filetto marinato e del cioccolatino fondente con dentro le interiora della bestiola. Io sono riuscita a mangiare solo il petto appena scottato. Passino le lumache, ma il crudo di piccione e le sue interiore nel cioccolatino, non ce l’ho fatta. Scusa Vitantonio, ma non ce l’ho fatta.
Nuova impennata con il dessert, il Monte Crusko, un semifreddo ai peperoni cruschi, ricoperto da cioccolato Valrhona in scaglie. Devo ammettere che ero perplessa, chi mi conosce sa che io amo i dolci dolci, ma questo era D-A-P-A-U-R-A. Ottimo.
Seguono i petit fours accompagnati da un Bas Armagnac Horse D’Age Dartigalongue e i saluti dello chef, che spegne le cucine e il locale chiude insieme a noi.
Una cena sublime, in un posto da sogno. Vitantonio Lombardo, in pochi mesi, ha abbandonato una stella, per conquistarne un’altra, mettendo su una realtà inappuntabile, fatta di rispetto per la tradizione, cura per le materie prime, amore per la cucina, desiderio di donare un’esperienza indimenticabile, come quella che ci portiamo dietro, dentro.
Leave A Reply