“Abbiamo aperto lo scorso 12 ottobre, dopo circa due anni di trafile burocratiche che sembrava non finissero mai” racconta così Angelo Del Vecchio, pescarese, classe 85, patron del nuovo Pastorie, ristorante abruzzese aperto pochi mesi fa, nel cuore del Pigneto.
Lo riconosci Pastorie che, a un certo punto, al numero 12 di Via Pesaro, una balla di fieno. Porte vetrate che introducono l’ospite in quella che appare a tutti gli effetti una grotta. Essenziale. Roccia o presunta tale, legno, ferro. E quelli che sembrano dei graffiti alle pareti, rappresentanti scena di vita contadina, pastorale. Ed è proprio qui che parte l’idea di Angelo. Da qui, che nasce Pastorie, da un nucleo che il giovane ha sicuramente respirato, vissuto meno. A cui è stato esposto sin da bambino, nei racconti del padre o nelle gite domenicali in campagna.
“Mio nonno paterno era un pastore. Viveva in una stalla a Gissi, nel chietino, insieme alla sua famiglia. Insieme a mio padre, che, tra le stringenti routine a cui ti porta la vita nei campi e qualche iniziale contrasto con la sua famiglia, è riuscito, ha voluto proseguire gli studi, diventando commercialista”. Angelo, quando parla del nonno – e del padre, pure – parla di mani, occhi, silenzio. La sacralità della vita dei campi. Parla di dignità. “I pastori sono stati i primi poeti”. E non è il primo a dirlo. Parla di racconto. Pastorie, storie di pasto, storie di pastori. Interconnesse. Nei suoi discorsi, Angelo nobilita la figura del pastore, dandole il merito di aver conservato la biodiversità, di aver disegnato e ridisegnato la geografia del nostro paese, parla della transumanza come scambio, racconta di un mondo, al giorno d’oggi, sconosciuto o dimenticato.
“Sin da bambino, a casa mia, il cibo non è mai stato considerato un gioco. Mio padre ne ha fatto un atto politico. Un credo. Ricordo, a 12 anni, insieme a Giovanni Masciarelli, Gianni, mi portarono al primo Salone del Gusto, all’interno del Lingotto di Torino. Rimasi colpito ed estasiato. Popolazioni indigene che presentavano i propri prodotti. Contadini – che avevano le mani di mio nonno – presentavano il frutto del loro lavoro”. Quella fu solo la prima delle tante esperienze che il giovane Angelo visse in compagnia di suo padre e della sua cerchia di amici. “Non so perché mi portassero con loro. Non credo ravvisassero in me una particolare genialità, quanto la creatività, quella tipica di ogni bambino, scevra di condizionamenti, che, se ben alimentata, può generare bellezze inimmaginabili. La loro fiducia mi responsabilizzava e Pastorie, se vogliamo, è un ringraziamento, un omaggio alle mie origini, una restituzione a chi ha creduto in me”.
Pastorie è una finestra sul mondo dell’Abruzzo. Sul mondo contadino. Unico ambiente a voler ricreare una stalla moderna, senza nostalgia o retorica; in fondo alla sala, una cucina a vista, tavoli sociali, chi da dieci, chi da sei. La stalla era aggregazione. Nella stalla, curavi business e relazioni. Nella stalla, accoglievi i tuoi ospiti, per cui conservavi i cibi più prelibati, più preziosi, da consumare nelle ricorrenze, quando invitavi la contrada, in occasione – chessò – della festa della trebbiatura o dell’uccisione del maiale. Pastorie, voglio che sia questo: una festa. I clienti, ospiti. Che possano decidere di farsi un degustazione – di cui esistono varie tipologie a vari prezzi – o magari trascorrere la serata ad arrosticini e birra. Ho voluto tavoli sociali, perché così si usava allora. Comunità, commistione, conoscenza – o magari no – ma possibilità. Diversità come fonte di ricchezza. Durante la transumanza, scendendo dall’aquilano verso le Puglie, i pastori, giunti a Vasto, scambiavano i loro prodotti con il pesce di lì. Condivisione, arricchimento, conoscenza.”
Pastorie non è un locale futuristico; tutto o quasi – su misura – è realizzato con materiale di recupero, qualcosa viene dalla storia di Angelo, come il tavolo di servizio antistante la cucina che apparteneva alla prima macelleria di Scanno. Le ceramiche sono di Castelli, provincia di Teramo, senza disegni o ghirigori. “Bianche – puntualizza Angelo – in virtù della povertà”. Piatti rigorosamente tradizionali, ci sono le pallotte cacio e ova, le sagne, gli arrosticini. “Ho dovuto disimparare a fare i nidi di pasta” scherza lo chef Andrea Nepa, abruzzese anche lui, psicologo che a 35 anni ha lasciato il suo studio per la cucina, prima Civitella Casanova – La Bandiera, una stella Michelin – poi Girona – al tristellato El Celler de Can Roca, Londra e infine Roma, da Pastorie.
“Andrea Nepa è il mio alter ego. Ci completiamo le frasi a vicenda, ci incontriamo e scontriamo, di lui mi colpì la disponibilità, l’umiltà e l’entusiasmo. Mi diede il suo numero Marcello (Marcello Spadone de La Bandiera, ndr), mi disse che era a Londra e che averlo con me sarebbe stato un notevole punto di forza. Gli telefonai, un paio di settimane dopo, eravamo a pranzo da Retrobottega, insieme a Marcello e a suo figlio. L’accordo fu stretto. Andrea era dei nostri”.
A luglio scorso, chef Nepa è rientrato in Italia e il 18 ottobre del 2019, Pastorie ha aperto i battenti. In cantiere ci sono altri progetti, ambiziosi, che valicano i confini nazionali, tutti diversi, ma con un obiettivo comune: la valorizzazione del territorio abruzzese, delle sue tradizioni, della Terra, dei suoi frutti e del lavoro degli uomini speso per ottenerli.
Leave A Reply