Tornata in sede, operativa quasi. Due settimane di Portogallo. Chilometri a gogò e tante nuove esperienze affrontate.
Amo i viaggi on the road, nonostante stenti ad uscire dal GRA, sola, con la mia Smart automatica.
Prima tappa Lisbona. Sole e caldo. Posiamo i bagagli in hotel, posizione strategica, Pestana CR7 con presenza tantino ingombrante di Cristiano Ronaldo. L’hotel affaccia su Praça do Comércio, la piazza più grande d’Europa, che affaccia, a sua volta, sulla maestosa foce del fiume Tago. Fiume attivissimo, sulle cui sponde è piacevole bersi una limonata (non credevo avrei mai potuto bere una limonata, ma a Lisbona te la propongono talmente ovunque, che non diventarne addicted è quasi impossibile, nonostante non la preparino sul momento e nonostante le brocche di plastica in cui la conservano non ispirino così tanta fiducia) o un drink al tramonto.
Lisbona è in salita. Le salite più spinte sono premiate da miradoures incantevoli (ricordate la limonata!), non perdete il Miradouro da Senhora do Monte e quello sottostante, ma più suggestivo, Miradouro da Graça. Pareva ce ne fosse uno anche nei pressi del Castello. Non pervenuto, scendendo verso l’hotel, però, dalla Costa do Castelo, ci siamo imbattuti in un localetto distribuito sull’Escadinhas de São Cristóvão, i cui muri, ricoperti da graffiti realizzati da un gruppo di amici nati e cresciuti in quella zona – Movimento os Amigos de São Cristóvão – erano animati da tre ragazzi che cantavano e ballavano. Esausti dal lungo peregrinare, ci siamo seduti per terra a sorseggiare del vinho verde da 2,50 euro in bicchiere di plastica, sgranocchiando patatine dalla fragranza discutibile.
Irrinunciabile, il secondo giorno, Belém, con la sua torre e il Mosteiro dos Jerónimos, dichiarati, entrambi, dall’UNESCO, Patrimonio dell’Umanità. Suggestivo anche il Padrão dos Descobrimentos – Monumento alle Scoperte – un gigantesco profilo di caravella in pietra calcarea, sui cui campeggiavano, tra i tanti esploratori, anche Vasco da Gama e Ferdinando Magellano, in cui ci siamo imbattuti scendendo alla fermata sbagliata del bus 15 (diffidate, se non avete voglia di affascinanti chilometri superflui, della fermata denominata “Belém”). Cercate, vicino la torre, il chioschetto wine with a view del nostro amico che, al prezzo di 7 euro, vi offrirà, in un flûte di plastica – che potrete portare con voi, ma che butterete nel primo cestino utile – una meravigliosa bollicina della zona vitivinicola adiacente Lisbona, l’Alentejo.
Se si è Lisbona per tre-quattro giorni non si può non andare a Sintra, a circa un’ora di treno dal capoluogo portoghese. Sintra è il paese delle favole, lo dicono tutti ed è vero, se avessi solo immaginato fosse stato così vero, ci avrei trascorso anche una notte. Ogni angolo di Sintra è da scoprire. Appena arrivi, dopo aver dissuaso il tuo ragazzo da una sosta al Pizza Hut di zona, dovrai orientarti, districarti, barcamenarti tra le mille attrattive che la cittadina riserva. Le strade sono impervie ed in salite, le due maggiori attrattive, o quelle più famose per lo meno – il Palacio Nacional de Sintra e il Castelo dos Moros – si trovano in cima ad un monte e sono davvero irraggiungibili a piedi, anche per una buona camminatrice come me. Prendete una delle tante macchine dal centro città e con 5 euro a testa e 10-15 minuti di viaggio, sarete di fronte al Palazzo nazionale. Noi non siamo entrati, abbiamo solo sperimentato l’ebrezza del viaggio su due mezzi davvero carini, una jeeppetta wrangler cargo (non so esattamente, nell’immaginario collettivo, di voi giovani avventori cosa appaia dinnanzi a questa descrizione, nel mio, compare decisamente il mezzo da noi utilizzato per la salita) ed una Renault R4 turchese decappottabile.
Ai monumenti più blasonati, abbiamo preferito la Quinta da Regaleira, un mondo parallelo nato dall’estro e dall’inventiva dello scenografo d’opera italiano, Luigi Manini. Il palazzo non è nulla di trascendentale. I giardini, al contrario, sono sensazionali. Scovate le vie che portano alla bocca del pozzo iniziatico e, una volta giunti, scendete per la scala a chiocciola che portano alla base o all’apice di questa interminabile torre al contrario.
Veniamo al cibo.
Il mio ragazzo si è ucciso di Pasteis de Nata, le vere sono a Belém, non avrete difficoltà a trovare il negozio “official”, lasciandovi alle spalle la torre e la Cattedrale. Alla fila chilometrica, abbiamo preferito un Sundae al Mc poco più avanti. Ignavi.
Pranzi sempre più o meno di corsa, le cene degne di nota, a parte la prima, quando, causa una prenotazione andata male, abbiamo dovuto rinunciale al Mini Bar Teatro e vagare nella Lisbona più cupa in cerca di un locale che si confacesse ai nostri palati, dopo essere scampati ad un simil-winebar 2 stelle TA, siamo finiti a mangiare una paillard con patate al cartoccio ad un tavolo sociale in un posto in cui “poteva andarci peggio”.
Seconda sera, decisamente meglio, con il Bistrò di 100 Maneiras, dello chef Ljubomir Stanisic, originario di Sarajevo.
Location davvero unica. Sarete accolti da un cuore anatomico fatto di libri e trafitto da coltelli e mannaie. Personale fighetto, ma allo stesso tempo gentile e preparato. Cibo ottimo. Da tornare senza ombra di dubbio.
La terza sera ci ha accolti un locale più classico, un tantino fuori dal centro: Casa do Bacalhau. Non è il genere di locali che prediligo, ma il cibo era davvero i-n-e-c-c-e-p-i-b-i-l-e. Forse è stato il locale in cui ho mangiato la cosa più buona in assoluto, un baccalà cotto a bassa temperatura su purè di agrumi. Una roba da uscir pazzi. Due termini: soffice e delicato. Lo ricorderò tanto. Vale il viaggio in taxi, il servizio ingessato e pure la sala asettica. Meraviglioso.
La quarta sera a Lisbona, che è stata poi l’ultima del nostro viaggio, abbiamo fatto doppietta: aperitivo al Bairro do Avillez, ennesimo locale di José Avillez, bistellato chef del ristorante Belcanto e “creatore” di molti altri locali fighetti sparsi tra Lisbona e Porto, nonché novello produttore vinicolo per un progetto in collaborazione con José Bento dos Santos, della nota Quinta do Monte D’Oiro.
A cena invece siamo stati accolti dal più che cortese personale del Tapas Bar del ristorante panoramico Tagide, anche qui cibo degno di nota. Tempura memorabile, asciutta, dorata e croccante al punto giusto; ottima la carne di toro, succosa e saporita, divino il polipo con le patate.
Dolci non pervenuti, la memoria non mi aiuta. Forse una crème brulée, ma non era nulla a confronto con la Grandmother Augusta’s chocolate mousse with port wine gel del mio ragazzo. Quella si che spaccava.
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