Ascanio Celestini racconta il Pueblo, il popolo, nel suo ultimo spettacolo teatrale, in scena al Teatro Vittoria fino al 29 Ottobre, nell’ambito del Romaeuropa Festival 2017. Lo fa in un monologo di quasi due ore, in una scena dove c’è lui, solo, con il suo capello selvaggio, i suoi vestiti sciatti, i suoi grandi occhi celesti, invasati, pieni di ciò che racconta a Pietro, Gianluca Casadei, di ciò che vede sbirciando dalla finestra di fronte, sotto la pioggia battente.
Pueblo inizia dietro una tenda, a farla da padroni voci, ombre e musica, la musica che suona Pietro, che si barcamena tra il pianoforte e la fisarmonica, che parla con il timbro e lo stupore di una voce incredula di bambino.
Pietro siamo noi, interlocutori silenziosi, sbalorditi di una storia reale, banale, una storia che racconta la vita, che la penetra nei suoi meandri più profondi, più nascosti, più scabrosi.
Ascanio, con fare concitato, incalzante, martellante racconta la storia di Violetta, della madre muta sempre più vecchia e del padre morto che sapeva fare tutto, finanche la pasta con il tonno, che la pasta con il tonno, mica tutti la sanno fare. Violetta lavora al Supermercato, o così immagina Ascanio, nel suo monologo senza tempo. Alla cassa, che è il suo trono, di cui lei è regina, regina senza gambe e senz’anima. Senza sentimenti. Violetta quando lavora al Supermercato dismette i suoi panni da umana e diventa la Regina della cassa. Dove sorride a tutti, a chi le vuole bene, a chi le vuole male, a chi le fa del bene e a chi le fa del male. Il lavoro come estraneazione dell’essere umano. Violetta, alla sera, ritorna ad indossare i suoi vestiti da giovane sempre meno giovane e qui ritrova la sua umanità, ritrova la sua femminilità e la tragedia di suo padre morto, una tragedia da taschino. Che deve rimaner nascosta in un mondo che corre, che non gliene frega niente a nessuno del dolore di una donna che lavora alla cassa di un supermercato.
Davanti al supermercato c’è Domenica, una barbona che vive nel gabbiotto destinato alla vigilanza, circondata da lamiere, scatolame e cibo in scadenza. Domenica vive nel degrado, nella solitudine, nella ricerca di un amore, che ha imparato deviato, da quando suo padre, l’unica carezza, tra gli schiaffi, gliel’aveva data nel momento in cui era riuscita a rubare dei soldi dal portafogli di un fesso, intento a comprare la pizza bianca al banco della pizza del mercato coperto di Via Spartaco. Domenica, l’amore gliel’ha strappato, a otto anni, uno zingaro che fumava, mentre andava a scuola. Poi l’amore si è trasformato; è diventato umiliazione, dalle suore, quando la notte faceva la pipì nel letto, e poi rassegnazione, quando il magazziniere Said, il suo fidanzato, mentre le prometteva cibo e cappotti, buttava i suoi pochi soldi da magazziniere dal Supermercato in alcool e gioco d’azzardo.
Pueblo racconta, senza i filtri del perbenismo, un mondo senza Dio, dove uomini senza nome nascono e muoiono, senza lasciar traccia del loro passaggio, se non un gambo di sedano in una busta celeste e un sapore amaro di cappuccino decaffeinato del bar del mercato coperto di Via Spartaco.
Celestini racconta la vita e la morte. È affannato, eccitato, elettrizzato, mentre parla, urla, canta, mentre spia della finestra la vita di Violetta, mentre sogna la vita di Domenica. Mentre ne vede la morte, sola, con in mano un gambo di sedano, nel giorno dei prodigi, al TG Regionale, che non guarda nessuno, e che, però, è l’unico a celebrarne le esequie, le esequie di una donna, che nella vita, a causa di un budino, non era stata neanche in grado di ammazzarsi.
Photo Credits: Piero Tauro
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